Alexis Bienvenu

Credibilità fiscale: la rivincita del Sud?

Una serie di sorprendenti trasformazioni ha segnato i connotati del debito europeo. Per il quarto anno consecutivo, la virtuosa Germania sta ipotizzando la revoca della sua norma costituzionale ferrea che limita drasticamente ogni deficit di bilancio allo 0,35%, mentre diversi Paesi del Sud del continente, spesso additati, registrano un percorso di riduzione del debito che farebbe invidia ai più ortodossi. Che sia una lezione di realismo per i “grandi”?

Con le debite sfumature però. La Germania funge ancora da guardiano poiché, nonostante il deficit di bilancio degli ultimi anni, una crisi energetica particolarmente pesante e l’entrata in recessione nel 2023 (-0,8% di crescita reale su base annua nel 3° trimestre), il rapporto tra debito pubblico e PIL – al 66% nel 2022 – continua a essere il migliore tra i grandi dell’Eurozona. Stando al consensus economico, il dato dovrebbe rimanere praticamente stabile – o addirittura diminuire leggermente – nei prossimi anni.

È però vero che il Paese sta affrontando una crisi di bilancio a seguito di una decisione a sorpresa della Corte costituzionale tedesca che ha invalidato uno stanziamento di 60 miliardi di euro destinato inizialmente ad attutire la crisi del Covid, ma non speso, e attribuito poi a fondi speciali legati alla transizione energetica, che andranno finanziati diversamente. La spesa subirà dei tagli, se non “con la motosega” come rivendica il futuro presidente argentino per il suo Paese, con la roncola, in un momento in cui gli impegni della Germania a favore del clima vengono ribaditi in vista soprattutto della COP 28. Un ulteriore fardello per un’economia che è già in difficoltà.

Ma la Germania non è l’unica tra i “grandi” dell’Eurozona ad avere problemi di bilancio. La Francia, il cui rapporto debito/PIL è quasi doppio rispetto a quello tedesco (110%), è stata inserita nell’elenco recentemente pubblicato dalla Commissione europea che identifica i Paesi “che rischiano di non essere in linea con le raccomandazioni di bilancio dell’Unione europea” nel 2024 a causa di una spesa pubblica eccessiva. Secondo le previsioni, il deficit di bilancio del Paese dovrebbe aggirarsi intorno al 4-5% nei prossimi anni, ben lontano da quel 3% che da sempre fa da spartiacque in Europa.

Nel contempo, l’Europa meridionale brilla non per via del suo livello di debito ma del suo percorso di ripresa. La Grecia, ad esempio, ha appena scalato la classifica della qualità degli emittenti e si trova ora al confine – a seconda delle agenzie – tra i Paesi “affidabili” (investment grade) e quelli a rischio. Il suo tasso di indebitamento, che ha superato il 200% nel 2020, dovrebbe scendere al 150% nel 2024. Il Portogallo, in grave difficoltà durante la crisi del 2010, è appena tornato sotto il livello di debito della Francia. Lo stesso dicasi per la Spagna. E anche l’Italia, con l’aiuto dell’inflazione, sta registrando un netto miglioramento convergendo verso il 140% invece del 155% del 2020.

Quali lezioni trarre? Dal punto di vista economico è ormai urgente rivedere le regole europee sul debito che non sono più credibili. Sospesi tra il 2020 e il 2023 a causa delle crisi del Covid e dell’energia, i limiti stabiliti negli anni ’90 dovrebbero in teoria tornare in vigore nel 2024. Eppure, in un momento in cui l’Eurozona è complessivamente indebitata per oltre il 90%, è impensabile continuare a invocarli.  Gli europei hanno concordato la loro revisione entro la fine del 2024 anche se i negoziati sono entrati in una fase di stallo, in particolare tra la Germania e la Francia, a scapito di tutti. Dobbiamo quindi riponderare i ruoli di ciascuno nei negoziati. Da questo punto di vista, la Germania – così come la Francia – è relativamente indebolita dai suoi recenti errori, dando maggiore credibilità ai Paesi dell’Europa meridionale. Le regole di domani saranno quindi probabilmente meno connotate dall’ortodossia tedesca.

Da un punto di vista borsistico, il benchmark costituito dalle obbligazioni del Nord Europa potrebbe essere in parte riequilibrato a favore dei Paesi periferici. Per alcuni di questi, il premio per il rischio rispetto alla Germania è già in forte calo, segno di una convergenza generale nell’Eurozona.

Infine, e più in generale, il percorso incoraggiante dei piccoli Paesi dell’Europa meridionale potrebbe essere fonte di ispirazione per altri Paesi confrontati con difficoltà di bilancio nel mondo. Il loro esempio dimostra che la ripresa è una possibilità reale, a costo certamente di pesanti sacrifici, che pagheranno in futuro in quanto alleggeriranno l’onere del debito.

 

 

Rédaction achevée le 24.11.2023, par Alexis Bienvenu, Gérant.

 

Telex

Rimbalzo millimetrico. Continua a peggiorare a novembre, anche se con un ritmo leggermente inferiore, l’attività nell’Eurozona misurata dagli indici PMI. In Germania, il PMI Composito è salito a 47,1 contro 45,9 in ottobre, spinto in particolare dal settore manifatturiero, a 42,3 rispetto a 40,8. L’indice è praticamente stabile in Francia, a 44,5. Nonostante questa sorpresa, il quadro rimane cupo. Il PMI composito dell’Eurozona resta in territorio di contrazione per il 6° mese consecutivo e per il 17° mese nel caso del settore manifatturiero. L’occupazione, in particolare, è in netto peggioramento in questo settore. Inoltre, la crisi di bilancio innescata in Germania dall’invalidazione dell’utilizzo di uno stanziamento non speso durante la crisi del Covid andrà probabilmente a condizionare l’attività tedesca il prossimo anno.

Inflazione, un ritorno agghiacciante. In Norvegia, l’inflazione è tornata a salire in ottobre al 4,0% su base annua. Più preoccupante è l’aumento dell’inflazione di fondo, passata dal 5,7% al 6,0%. I principali responsabili ne sono i prezzi di alcuni servizi come i ristoranti e gli alberghi. È quindi più probabile che la Norges Bank, la banca centrale norvegese, rialzi nuovamente il tasso di riferimento nella sua riunione di dicembre. Potrebbe essere uno degli ultimi aumenti dei tassi nella recente ondata di rialzi all’interno del mondo occidentale.