Whatever it takes, Stagione 3
Quest’estate abbiamo festeggiato i dieci anni di quel “costi quel che costi” divenuto celebre. La frase, pronunciata da Mario Draghi il 26 luglio 2012, diede il via all’operazione di salvataggio dell’euro, messo in pericolo dalla crisi del debito sovrano dei paesi dell’Europa meridionale. La seconda parte della frase non era peraltro meno importante: “E credetemi, sarà sufficiente”¹, poiché tutta la comunità finanziaria e i mercati vi credettero.
Nella seconda stagione del Whatever it takes, i paesi colpiti dal Covid e dalle misure di lockdown attuate per contrastarlo lanciarono massicce politiche di sostegno fiscale, mai viste in tempo di pace (anche se a dire il vero il Presidente francese Macron disse che eravamo in guerra): aiuti per le famiglie, sostegno ai consumi, piano di investimenti infrastrutturali, sovvenzioni alle aziende, agevolazioni fiscali… Un vero e proprio zibaldone di misure.
Dagli inizi del 2022, la terza stagione si concentra ancora una volta sulle Banche centrali mondiali che per la maggior parte aumenteranno massicciamente i tassi di interesse per tenere sotto controllo l’inflazione, costi quel che costi. Tuttavia, questo Whatever it takes di oggi ha piuttosto a che fare con i danni inflitti all’economia nel tentativo di contrastare l’aumento dei prezzi.
Bisogna dire che gli ultimi dati sull’inflazione pubblicati in Europa, superiori a quelli degli Stati Uniti, hanno impensierito ben più di un banchiere centrale. Se la Francia sembra cavarsela piuttosto bene, con un’inflazione armonizzata al 6,5% “soltanto”, il dato globale per l’Eurozona supera il 9%. Sui 19 Stati membri dell’Unione Economica e Monetaria, tre hanno un’inflazione che va oltre il 20%² e dieci³ superano il 10%. È quindi urgente agire, indipendentemente dalle conseguenze sull’attività, in un momento in cui si preannuncia una crisi energetica per il prossimo inverno e gli Stati hanno raggiunto tassi di indebitamento record. Il messaggio dei banchieri centrali è chiaro: combatteranno l’inflazione, anche a costo di provocare un rallentamento economico grave, addirittura una recessione.
Questo stato di cose, associato all’impossibilità, ora come ora, di prevedere fino a dove i tassi continueranno a salire negli Stati Uniti ma anche in Europa, induce un autunno all’insegna della prudenza sui mercati azionari e ci porta a mantenere i nostri portafogli decisamente orientati a favore di società di qualità con bilanci sani, indipendentemente dallo stile o dalla capitalizzazione. Nell’ultimo anno, pur senza essere ancora andati incontro a livelli di sottovalutazione clamorosi, i principali coefficienti degli indici di borsa hanno subìto una brusca correzione. Portiamo pazienza, il seguito al prossimo episodio.