Il potere di dire No

Nel dicembre 2012 intitolavamo questa lettera “Il potere di dire Sì”, riprendendo un celebre slogan degli anni ’90 del Crédit Lyonnais, perfetta illustrazione dello sviluppo sfrenato del credito alle imprese attraverso l’emissione di obbligazioni corporate, il finanziamento sul mercato o i tradizionali prestiti bancari.

Sei anni dopo la situazione si è invertita e il finanziamento da parte del mercato è diventato più selettivo. La fine programmata delle politiche di Quantitative Easing in tutto il mondo segna l’inizio di una nuova era, nella quale il rubinetto del credito facile, generosamente aperto dalle banche centrali, è stato chiuso. L’orizzonte si fa più scuro per gli investitori che, a fine novembre, avevano già ritirato la somma record di 65,3 miliardi di dollari dai fondi obbligazionari specializzati in titoli high yield (ad alto rendimento) e 25 miliardi[1] dai fondi investiti in obbligazioni corporate investment grade. Infine, gli indici del credito chiuderanno probabilmente l’anno in territorio negativo[2], con un’ampiezza inedita dal 2008.

Le ragioni della fine del “credito facile” sono numerose. Il vigore dell’economia statunitense, associato al forte aumento delle retribuzioni, favorisce la correzione dei tassi. Il logico rialzo dei tassi a breve termine da parte della Federal Reserve statunitense – dallo 0 al 2% – nonché dei tassi a 10 anni – dall’1,4 a più del 3% – spiega ampiamente perché gli asset denominati in dollari stanno vivendo un momento difficile.

Nell’Eurozona, anche se il livello dei tassi privi di rischio è variato molto poco nel 2018, l’allargamento dei premi per il rischio ha provocato l’aumento dei costi di finanziamento per le imprese. Il rallentamento dell’economia, le paure suscitate dalla Brexit e lo scontro sulla legge di bilancio italiana entrano in rotta di collisione con l’annuncio dell’interruzione del programma di acquisti della Banca centrale europea (BCE). Un programma che fino a questo momento aveva rappresentato un notevole sostegno per i mercati in quanto la BCE acquistava settimanalmente più di un miliardo di euro di obbligazioni corporate, ponendosi come un operatore attivo sul mercato primario. Le sue casse contano oggi circa 180 miliardi di euro di obbligazioni corporate.

Molte società hanno poi visto il rendimento delle loro obbligazioni salire man mano che venivano pubblicati dati deludenti. Società che sono state violentemente sanzionate quando i risultati non sono stati all’altezza delle aspettative. Preoccupati della capacità di rimborso di queste società, gli investitori esigono quindi premi per il rischio molto più elevati rispetto al passato.

Sono state la volatilità del barile e la generazione deludente di cash a determinare un rendimento dell’obbligazione VALLOUREC 2023 di oltre il 13%.

In una fase matura del ciclo come quella attuale, è classico osservare un numero maggiore di fallimenti di società. Gli economisti della COFACE lo confermano per il 2019, stimando un aumento del tasso di default allo 0,8%, un dato modesto certo ma in linea con la decelerazione del PIL francese attorno all’1,5%, fattore tradizionalmente causa dell’aumento dei default.

Nessun dubbio quindi che il mercato del credito “dopato” sia ormai alle spalle e che sia iniziato il periodo di riduzione della liquidità. Se il ritorno alla normalità è difficile per gli attori che avevano finito per dimenticare la volatilità e le incoerenze transitorie dei mercati, guardiamo invece positivamente a questa fase necessaria per i mercati, che ridà alla corretta conoscenza delle aziende un valore che non avrebbe mai dovuto essere trascurato.

 

Didier LE MENESTREL
con la complicità di Olivier de Berranger

[1] Dati EPFR

[2] Indici obbligazionari BAML (Bank of America Merril Lynch) – Bloomberg