Troppo o troppo poco?
Stando ai banchieri centrali occidentali, l’inflazione sta procedendo verso l’obiettivo del 2%. Per questa ragione, la Federal Reserve (Fed) statunitense ha ritenuto di poter tagliare il suo tasso di riferimento di 50 punti base il 18 settembre con una mossa di una portata rara in assenza di recessione. La Banca Centrale Europea (BCE) ha fatto altrettanto, in due fasi, e si prepara ad andare avanti.
Di recente, però, le aspettative di inflazione sono risalite, perlomeno negli Stati Uniti. Come emerge dal contratto a termine noto come “1-year inflation swap – zero coupon”, il livello atteso a un anno sull’altra sponda dell’Atlantico è passato dall’1,70% il 6 settembre scorso al 2,3% il 25 ottobre. Quale logica conseguenza, i tassi a lungo termine statunitensi sono aumentati in maniera significativa passando dal 3,6% il 16 settembre al 4,2% il 25 ottobre. Sono ancora attestati a un livello più alto rispetto all’inizio dell’anno, mentre si ritiene che l’inflazione sia stata sconfitta.
In Europa, invece, le aspettative non sono granché cambiate. Altrettanto logicamente, nel corso dello stesso periodo i tassi a lungo termine sono rimasti stabili, passando dal 2,1% al 2,3% soltanto, mentre l’euro ha perso il 2,8% rispetto al dollaro, a dimostrazione del divario crescente dei tassi tra le due zone.
Sebbene non siano di per sé allarmanti, questi andamenti indicano alcune tendenze, in parte preoccupanti. In base all’andamento dei sondaggi nei pochi Stati chiave che faranno la differenza nelle elezioni presidenziali riflettono, anche se non ci sono per ora certezze, le aspettative crescenti formulate dal mercato circa una vittoria di Trump. La sua politica è ritenuta inflazionistica e a priori sfavorevole agli esportatori europei, per una serie di motivi: dazi sulle importazioni di prodotti provenienti non soltanto dalla Cina, ma anche dal resto del mondo; una politica fiscale ultra-espansiva, insostenibile e quindi fattore di instabilità finanziaria globale; una politica migratoria molto più rigida, che potrebbe comportare l’espulsione di milioni di lavoratori immigrati. La loro espulsione, o l’inaridimento perlomeno del flusso in entrata porterebbe certamente a sostenere il salario orario dei lavoratori meno qualificati vista la riduzione del numero delle braccia disponibili. Per i lavoratori rimanenti l’effetto sarebbe positivo anche se potrebbe contribuire, in un secondo momento, a sostenere l’inflazione complessiva, e quindi i tassi di interesse. Il tutto, alla fine, potrebbe rivelarsi molto meno favorevole per questa categoria di lavoratori. L’impatto delle politiche migratorie sull’economia fornisce indirettamente un’illustrazione dei benefici della politica massiccia di immigrazione attuata dagli Stati Uniti a partire dal 2021. Secondo il Congressional Budget Office, un ente trasversale, l’ondata migratoria ha fornito un contributo significativo al PIL statunitense, moderando al contempo l’inflazione salariale – e quindi l’inflazione complessiva[1]. Una sua rimessa improvvisa in discussione potrebbe rallentare l’espansione della prima economia al mondo e ritardare la convergenza dell’inflazione verso il livello desiderato.
I recenti movimenti poi dei tassi illustrano il marasma economico dell’Europa. Gli Stati Uniti hanno colto tutti di sorpresa quest’anno con il loro dinamismo, nonostante qualche dubbio fugace in agosto. L’Europa, invece, si è contraddistinta per la sua atonia e per il calo sorprendentemente rapido dell’inflazione. Tanto che alcuni responsabili della politica monetaria della BCE starebbero valutando la necessità di tornare a una politica espansiva, con tassi di riferimento inferiori al 2%[2]. Lo spettro di un’inflazione depressa, tipico degli anni 2010, torna ad abitare le notti dei banchieri centrali europei.
Il mondo ricco diventa così ancora più diviso: lato americano si teme il ritorno di un’inflazione leggermente in eccesso, o talvolta lo si auspica come mezzo per ripianare l’impressionante debito pubblico; lato europeo, l’inflazione potrebbe rivelarsi famelica senza aiutare ad arginare il debito pubblico. Troppo o troppo poco: il mondo economico mostra eccessi e divisioni. Eppur si muove.
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Rédigé le 25/10/2024, par Alexis Bienvenu, Fund Manager, LFDE