Alexis Bienvenu

La riduzione dei tassi salverà l’economia?

Si è dato avvio, a livello globale, a un nuovo ciclo di tagli dei tassi. Per la seconda volta dallo scorso giugno, la Banca centrale europea (BCE) ha tagliato i tassi di riferimento di 25 punti base e la Federal Reserve (Fed) statunitense si sta accingendo a fare altrettanto il 18 settembre arrivando persino, secondo alcuni, a 50 punti base. Una dinamica identica è in atto ovunque, fuorché in Giappone.

Nel frattempo, diverse grandi aree economiche sono in difficoltà: o sono ferme, come l’Eurozona o anche la Cina che – nonostante una crescita del 4-5% – rimane impantanata in un marasma immobiliare senza fine e nel ristallo dei consumi; oppure lanciano segnali preoccupanti, come gli Stati Uniti, visto il rallentamento del mercato dell’occupazione. Riuscirà, l’annunciata riduzione dei tassi, a contrastare la debolezza generalizzata della crescita?

Ci piacerebbe pensarlo anche se un’analisi dei meccanismi monetari pone fine ad alcune illusioni. Da un lato, a meno di un’improvvisa catastrofe economica i tagli si profilano graduali. Un taglio mediamente di 25 punti base nell’arco di un anno ad ogni nuova riunione della Fed o della BCE, cioè due volte a trimestre, è ormai uno scenario condiviso. Dovremo quindi armarci di pazienza prima che emergano differenze significative nei tassi.

Dall’altro, come ci ha ricordato Christine Lagarde il 12 settembre, i tagli dei tassi non si trasmettono immediatamente all’economia. Si possono distinguere tre fasi[1]. A monte di ogni decisione di politica monetaria, i mercati obbligazionari e valutari, guidati dalle prospettive economiche e dai discorsi delle banche centrali, riflettono nei prezzi le loro aspettative legate ai tassi. Altrettanto fanno le imprese e le famiglie, adeguando i comportamenti di produzione e di consumo in base alle loro proiezioni sull’inflazione che, a loro volta, dipendono dalle condizioni previste per i tassi. In questa fase, però, il finanziamento effettivo dell’economia non ha ancora subito modifiche significative in quanto la formazione del credito avviene in maniera graduale. Quando il taglio diventa effettivo, cambia la situazione per i settori ad alta leva, le banche e il settore immobiliare soprattutto. Infine, parecchio tempo dopo, la maggior parte dell’economia cosiddetta “reale”, che non è puramente finanziaria, risente concretamente dell’allentamento man mano che vengono contratti nuovi prestiti. A seconda dei casi, possono trascorrere da 6 mesi a quasi 2 anni[2].

Ci vorranno quindi diversi trimestri prima che gli attuali tagli dei tassi possano fornire un autentico sostegno alle economie che languono. Ciò detto, il notevole margine di manovra di cui dispongono oggi le banche centrali dato l’andamento favorevole dell’inflazione rappresenta di per sé un sostegno sia per il mercato che per l’economia. Gli agenti economici possono infatti legittimamente prevedere un’azione vigorosa da parte delle banche centrali in caso di stringente necessità. Si eliminano così i potenziali disincentivi agli investimenti, riducendo il rischio di un rallentamento repentino. Il circolo virtuoso della fiducia economica fa sì che la semplice fiducia nella capacità delle banche centrali di salvare le economie contribuisca a bloccare i meccanismi che lo renderebbero necessario.

 

Rédaction achevée le 13.09.2024 – Alexis Bienvenu, Fund Manager, LFDE

 

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[1] Y. Tampereau, Politique monétaire : distinguer les temps de transmission des hausses de taux des banques centrales dans l’économie, Caisse des Dépôts et Consignations,18.04.2023
[2] SG Analytics, How Long Does It Take for Rate Cuts by the Fed to Percolate to the Economy? 08.03.2024